L’ovadese e Ovada “Città del Vino”
I Comuni, che compongono la zona dell’ovadese, concentrano il 13% della superficie vitata, a fronte di un dato provinciale del 10%, ma soprattutto ben il 27% del totale provinciale è DOC o DOCG, addirittura il Piano Territoriale Provinciale definisce Ovada come “città del vino”, e l’intera area è inserita in quella che la zonizzazione territoriale definisce come: distretto per la produzione vinicola.
DOC e DOCG
Il successo più importante e che diede un maggiore slancio e maggiore visibilità al Dolcetto di Ovada fu il riconoscimento nel 1972 della “Denominazione di Origine Controllata” (DOC). Questo, come detto, diede un forte impulso alla produzione del Dolcetto: dal 1975 al 1981 le ditte iscritte all’albo del Dolcetto di Ovada a denominazione di origine controllata passarono da 218 a 435; la superficie coltivata aumentò, sempre nello stesso periodo, da 538 a 932 ettari. Nel 1987 nacque il Consorzio di Tutela del Dolcetto d’Ovada. La garanzia di qualità viene riconosciuta da un apposito marchio che viene rilasciato ai Soci solo dopo una accurata analisi di laboratorio e degustativa da parte di una commissione tecnica. Più recentemente la nuova spinta al territorio e al Dolcetto è stato il riconoscimento del marchio DOCG.
DOC e DOCG
Il successo più importante e che diede un maggiore slancio e maggiore visibilità al Dolcetto di Ovada fu il riconoscimento nel 1972 della “Denominazione di Origine Controllata” (DOC). Questo, come detto, diede un forte impulso alla produzione del Dolcetto: dal 1975 al 1981 le ditte iscritte all’albo del Dolcetto di Ovada a denominazione di origine controllata passarono da 218 a 435; la superficie coltivata aumentò, sempre nello stesso periodo, da 538 a 932 ettari. Nel 1987 nacque il Consorzio di Tutela del Dolcetto d’Ovada. La garanzia di qualità viene riconosciuta da un apposito marchio che viene rilasciato ai Soci solo dopo una accurata analisi di laboratorio e degustativa da parte di una commissione tecnica. Più recentemente la nuova spinta al territorio e al Dolcetto è stato il riconoscimento del marchio DOCG.
Era il 2008 quando, grazie alla volontà di un gruppo di produttori desiderosi di valorizzare le grandi potenzialità di questo nobile vino rosso, venne riconosciuta la denominazione Ovada DOCG, denominata anche Dolcetto di Ovada Superiore. Da allora tanto è stato fatto e tanto resta da fare per rilanciare l’immagine e la conoscenza di un vino che, negli ultimi decenni, erano perlopiù andate offuscandosi. Il Consorzio di Ovada DOCG, nato nel 2013, conta al suo interno un numero crescente di produttori.
Di obiettivi fondamentali il Consorzio ne ha sostanzialmente due, da cui, a cascata, si snodano pratiche condivise, strumenti collaudati o da mettere a punto e forme aggregative in via di sperimentazione: 1. Riportare alla conoscenza pubblica una zona, come quella di Ovada. 2. Creare una forte identità territoriale e un riposizionamento strategico attraverso la produzione di un vino caratterizzato da una forte qualità e attrattività. Stiamo parlando tuttavia di una produzione complessiva con ampi margini di crescita: quasi un milione di bottiglie per la DOC e circa 100.000 per la DOCG, ma che negli ultimi anni vede una tendenza all’aumento, un dato incoraggiante da cui è necessario ripartire.
Di obiettivi fondamentali il Consorzio ne ha sostanzialmente due, da cui, a cascata, si snodano pratiche condivise, strumenti collaudati o da mettere a punto e forme aggregative in via di sperimentazione: 1. Riportare alla conoscenza pubblica una zona, come quella di Ovada. 2. Creare una forte identità territoriale e un riposizionamento strategico attraverso la produzione di un vino caratterizzato da una forte qualità e attrattività. Stiamo parlando tuttavia di una produzione complessiva con ampi margini di crescita: quasi un milione di bottiglie per la DOC e circa 100.000 per la DOCG, ma che negli ultimi anni vede una tendenza all’aumento, un dato incoraggiante da cui è necessario ripartire.
Il vitigno
È cognizione comune che le colline dell’ovadese sono, da tempo immemorabile, un territorio estremamente adatto alla produzione enologica. Le caratteristiche della terra, il clima e l’esposizione solare, unite ad un’antica professionalità dei produttori, dei vinificatori e dei commercianti, attraverso un’azione sinergica, hanno da sempre permesso una produzione di ottimo livello di uva Dolcetto. Il Dolcetto è un vino rosso prodotto in sette varietà, alle quali è riconosciuta la denominazione d’origine controllata, una situazione che rende difficoltosa una giusta valutazione identitaria e qualitativa.
Le differenze tra i vari dolcetti dipendono dal luogo di coltivazione e dal territorio; il clima, l’esposizione e le caratteristiche chimico fisiche della terra conferiscono al vino diverso aroma e sapore. Le caratteristiche territoriali dell’ovadese hanno contribuito alla elevata qualità delle uve prodotte, oltre alle scelte fatte dai vignaioli che, avendo una tradizione viticola fondata sul Dolcetto, sceglievano per questo tipo di vite i terreni migliori e con l’esposizione a sud che permetteva una perfetta maturazione dell’uva. Cosa che invece avviene con minor frequenza nell’astigiano o nell’albese, dove i vignaioli preferiscono destinare i terreni migliori e con la migliore insolazione a vitigni di nebbiolo o di barbera che maturano più lentamente, mentre il dolcetto, vitigno più primaticcio, alligna principalmente su pendii volti a nord; cosa che, in stagioni con piogge abbondanti, può determinare una difficile maturazione che va poi ad inficiare la qualità del prodotto finito.
Un altro fattore che determina le condizioni ideali per la coltivazione della vite nell’Ovadese è il clima: seppur la vite sia una pianta molto resistente capace ad adattarsi a condizioni climatiche avverse, a estati torride e a forti gelate invernali, ci sono delle condizioni per cui alcune zone sono più indicate di altre per la produzione di uva di qualità come l’insolazione, di cui abbiamo accennato in precedenza, ma allo stesso tempo sono importanti anche le precipitazioni. L’umidità del terreno è preziosa per le radici e, di conseguenza, per lo sviluppo della pianta e la maturazione del suo frutto. Ad eccezione di particolari annate di forte siccità o con la presenza di piogge abbondanti, che se avvengono durante la fioritura o durante la vendemmia possono diluire il succo degli acini o innescare processi di marcescenza, il territorio ovadese risulta particolarmente protetto da barriere naturali come le colline molto alte e ripide che compongono il territorio e che proteggono i vigneti da venti e piogge.
Un altro fattore che determina le condizioni ideali per la coltivazione della vite nell’Ovadese è il clima: seppur la vite sia una pianta molto resistente capace ad adattarsi a condizioni climatiche avverse, a estati torride e a forti gelate invernali, ci sono delle condizioni per cui alcune zone sono più indicate di altre per la produzione di uva di qualità come l’insolazione, di cui abbiamo accennato in precedenza, ma allo stesso tempo sono importanti anche le precipitazioni. L’umidità del terreno è preziosa per le radici e, di conseguenza, per lo sviluppo della pianta e la maturazione del suo frutto. Ad eccezione di particolari annate di forte siccità o con la presenza di piogge abbondanti, che se avvengono durante la fioritura o durante la vendemmia possono diluire il succo degli acini o innescare processi di marcescenza, il territorio ovadese risulta particolarmente protetto da barriere naturali come le colline molto alte e ripide che compongono il territorio e che proteggono i vigneti da venti e piogge.
Una risorsa importante e che è riccamente presente in questi luoghi sono le zone boscose che costituiscono una vera e propria risorsa nelle annate di grande siccità: i boschi infatti costituiscono una preziosa riserva di umidità. Da ultimo, di notevole impatto sulla qualità delle uve è il microclima proprio di ogni vigneto, cioè l’insieme delle piccole variazioni legate all’ambiente ristretto di ogni impianto. Nel contesto di un vigneto, il microclima è determinato, almeno in parte, dalle pratiche colturali: inerbimento del terreno, distanze di impianto, forma di allevamento, criteri di potatura sono altrettanti elementi che possono modificare significativamente i dati climatici complessivi. Esistono quindi delle caratteristiche climatiche e morfologiche del terreno che non possono essere controllate, mentre ci sono delle scelte che partono dal campo e che rappresentano scelte aziendali e di coltivazione che andranno ad influenzare il prodotto finale.
Strategie di sviluppo per la filiera vitivinicola ovadese
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Qualità e riconoscibilità
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Qualità e riconoscibilità
Le aziende ovadesi, seppur di piccole dimensioni, hanno saputo concentrare gli sforzi per offrire ai consumatori un vino di elevato valore e prestigio sia con produzioni convenzionali sia con, per una parte di esse, la scelta della conversione al biologico; che ha offerto l’opportunità di affacciarsi ad una nuova tipologia di mercato e sta caratterizzando una parte della zona. Una scelta che si sta rilevando interessante è quella, operata da numerose aziende locali, di non rinunciare alle tipicità del Dolcetto in nome di un gusto imposto dal mercato. Il problema della tipicità è lo specchio di un dibattito molto ampio sul gusto che deve avere un vino: è meglio valorizzare i prodotti assecondandone gli aspetti tradizionali (vitigni, tecniche, valori organolettici), oppure è preferibile adeguarsi a quel gusto internazionale indotto da un mercato aperto, senza più frontiere? In altre parole dobbiamo cercare di far apprezzare anche fuori dalla zona di produzione la tannicità a volte un po’ marcata di un Dolcetto di fattura classica, oppure è necessario in qualche modo mascherare questa peculiarità un po’ scontrosa per renderlo accettabile ad un pubblico internazionale? Viste le peculiarità del panorama produttivo locale è necessario salvaguardare il bagaglio prezioso della tradizione proponendo allo stesso tempo prodotti competitivi, che non subiscano la standardizzazione delle tecniche produttive sia in vigna che in cantina che rischiano di portare ad una omogeneizzazione del “gusto del vino”, valorizzare le peculiarità dell’ovadese, come ad esempio l’acidità del nostro Dolcetto, è il modo migliore per competere sul mercato e fare della diversità un’espressione delle culture materiali di ogni territorio.
Le aziende ovadesi, seppur di piccole dimensioni, hanno saputo concentrare gli sforzi per offrire ai consumatori un vino di elevato valore e prestigio sia con produzioni convenzionali sia con, per una parte di esse, la scelta della conversione al biologico; che ha offerto l’opportunità di affacciarsi ad una nuova tipologia di mercato e sta caratterizzando una parte della zona. Una scelta che si sta rilevando interessante è quella, operata da numerose aziende locali, di non rinunciare alle tipicità del Dolcetto in nome di un gusto imposto dal mercato. Il problema della tipicità è lo specchio di un dibattito molto ampio sul gusto che deve avere un vino: è meglio valorizzare i prodotti assecondandone gli aspetti tradizionali (vitigni, tecniche, valori organolettici), oppure è preferibile adeguarsi a quel gusto internazionale indotto da un mercato aperto, senza più frontiere?
Le aziende ovadesi, seppur di piccole dimensioni, hanno saputo concentrare gli sforzi per offrire ai consumatori un vino di elevato valore e prestigio sia con produzioni convenzionali sia con, per una parte di esse, la scelta della conversione al biologico; che ha offerto l’opportunità di affacciarsi ad una nuova tipologia di mercato e sta caratterizzando una parte della zona. Una scelta che si sta rilevando interessante è quella, operata da numerose aziende locali, di non rinunciare alle tipicità del Dolcetto in nome di un gusto imposto dal mercato. Il problema della tipicità è lo specchio di un dibattito molto ampio sul gusto che deve avere un vino: è meglio valorizzare i prodotti assecondandone gli aspetti tradizionali (vitigni, tecniche, valori organolettici), oppure è preferibile adeguarsi a quel gusto internazionale indotto da un mercato aperto, senza più frontiere?
In altre parole dobbiamo cercare di far apprezzare anche fuori dalla zona di produzione la tannicità a volte un po’ marcata di un Dolcetto di fattura classica, oppure è necessario in qualche modo mascherare questa peculiarità un po’ scontrosa per renderlo accettabile ad un pubblico internazionale? Viste le peculiarità del panorama produttivo locale è necessario salvaguardare il bagaglio prezioso della tradizione proponendo allo stesso tempo prodotti competitivi, che non subiscano la standardizzazione delle tecniche produttive sia in vigna che in cantina che rischiano di portare ad una omogeneizzazione del “gusto del vino”, valorizzare le peculiarità dell’ovadese, come ad esempio l’acidità del nostro Dolcetto, è il modo migliore per competere sul mercato e fare della diversità un’espressione delle culture materiali di ogni territorio.
In altre parole dobbiamo cercare di far apprezzare anche fuori dalla zona di produzione la tannicità a volte un po’ marcata di un Dolcetto di fattura classica, oppure è necessario in qualche modo mascherare questa peculiarità un po’ scontrosa per renderlo accettabile ad un pubblico internazionale? Viste le peculiarità del panorama produttivo locale è necessario salvaguardare il bagaglio prezioso della tradizione proponendo allo stesso tempo prodotti competitivi, che non subiscano la standardizzazione delle tecniche produttive sia in vigna che in cantina che rischiano di portare ad una omogeneizzazione del “gusto del vino”, valorizzare le peculiarità dell’ovadese, come ad esempio l’acidità del nostro Dolcetto, è il modo migliore per competere sul mercato e fare della diversità un’espressione delle culture materiali di ogni territorio.